22 Apr Dati e Narrazione
In questo post ci occuperemo di dati e storytelling, ovvero di numeri e narrazione. Ci occuperemo di quale funzione attribuire ai dati, di come e quando utilizzarli nella narrazione del nostro progetto.
“Come faccio a rendere più concreto il mio discorso?”
“Devo mettere delle citazioni, delle fonti, a sostegno della mia tesi?”
“…ma, così, non è tutto un po’ vago?”
Ecco, la riposta a molte di queste domande è: metti dei dati, fai degli esempi numerici. In altre parole, metti nel racconto della tua idea anche dei dati.
quando usare i dati in una narrazione?
I dati solitamente servono a dare credibilità e autorevolezza a una argomentazione. Se usiamo dati significativi e pertinenti, riusciamo a dare una base oggettiva a una nostra affermazione. Con quale risultato?
- dare una valutazione precisa: mi ero proposto di raggiungere 1000 persone. Ne ho raggiunte 832, male. Ne ho raggiunte 1130, ottimo (si dà anche il caso: Ne ho raggiunte 3400, benissimo, ma perché ho sbagliato così tanto la valutazione? questo ha creato problemi di gestione?).
- permettere un confronto: nell’area A, ho avuto 150 spettatori, nell’area B 222. Nell’area A gli spettatori sono il 12% della popolazione, nell’area B sono il 4%.
- esibire una prova: a sostegno di una affermazione. In A si va meno a teatro che in B, infatti, nell’area A, ho avuto 150 spettatori, nell’area B 222.
- fornire una spiegazione: questa azione è andata meglio di quella, perché con questa azione abbiamo guadagnato 100€ e con quella 82€.
- fornire dettagli: il pubblico era estremamente vario; per età (su 150 spettatori erano presenti 18 minorenni, 58 persone tra i 19 e i 55 anni, 74 sopra i 56 anni), per attività (32 studenti, 41 impiegati, 12 docenti…) e per provenienza (99 italiani, 41 intracomunitari, 10 extracomunitari).
quale tipo di dati usare?
Per fare storytelling usando i dati, le fonti devono innanzitutto essere affidabili. Poi, come abbiamo anticipato, i dati devono essere pertinenti e significativi. Se sto parlando di libri in Italia, le statistiche delle precipitazioni in Michigan non sono certamente pertinenti e dubito che siano anche significative. A meno che non stia cercando di dimostrare che il brutto tempo a Chicago abbia costretto una decina di grandi scrittori a rimanere a casa e produrre altrettanti capolavori che hanno venduto tantissimo in Italia.
I dati quantitativi, quindi, possono essere usati per misurare un fenomeno. In alcuni casi abbinare un’unità di misura a un fenomeno è facile. Temperatura, precipitazioni, velocità del vento descrivono i fenomeni atmosferici in maniera molto precisa. In altri casi abbinare a un fenomeno una unità di misura richiede una serie di ipotesi. Ad esempio quando si cercano gli indici per valutare la qualità della vita, diventa fondamentale assumere delle ipotesi condivise, che spieghino perché può essere utile considerare il livello di studio.
Abbiamo già parlato in un post degli strumenti di valutazione nella progettazione.
Generalmente i dati quantitativi possono essere:
- un valore: nell’area A, ho avuto 150 spettatori, nell’area B 222
- una percentuale: Nell’area A gli spettatori sono il 12% della popolazione, nell’area B sono il 4%.
- una variazione: Nell’area A gli spettatori sono aumentati del 90%, nell’area B del 5%
quando usare un tipo o l’altro?
Prendiamo l’esempio precedente:
In A si va meno a teatro che in B, infatti, nell’area A, ho avuto 150 spettatori, nell’area B 222.
questa è un’affermazione chiara, circostanziata ed esaustiva.
Tuttavia, il senso cambia se al valore assoluto sostituisco la percentuale:
In A si va meno a teatro che in B, infatti nell’area A gli spettatori sono il 12% della popolazione, nell’area B sono il 4%.
In questo caso, la frase perde di senso, perché con le percentuali, le proporzioni si invertono. Anzi, i dati sembrano dimostrare esattamente il contrario.
Proviamo, infine a usare la variazione:
In A si va meno a teatro che in B, infatti nell’area A gli spettatori sono aumentati del 90%, nell’area B del 5%.
Ora, la frase non ha più un senso univoco. Non è palesemente né vera, né falsa. La crescita esponenziale del pubblico in A forse significa che c’erano tanti soggetti che non andavano a teatro e ora ci vanno, mentre in B non era possibile questo aumento, perché forse già moltissimi andavano a teatro. È un’ipotesi, ma necessita di una spiegazione ulteriore. Cioè di altri dati. Eccoci, allora, arrivata alla narrazione.
quando diventa storytelling?
L’uso dei dati diventa narrazione quando c’è un prima e un dopo, una causa e un effetto, un’azione e una reazione.
Nell’approccio visuale ai dati (Visual Data), l’elemento narrativo è intuitivo. In un grafico, ad esempio, l’evoluzione del numero degli spettatori nel tempo è già un racconto.
Se unisco a questo andamento, anche un altro fattore, allora non ho solo creato una cronologia, ma anche una casualità e quindi una narrazione.
Intendiamoci, non è un racconto vero e proprio, con un eroe, il suo viaggio e dei colpi di scena. È un approccio per rendere più accessibile e chiaro un insieme di numeri. Si racconta una storia, con un inizio, una fine e, forse, un insegnamento.
Permettetemi una breve divagazione, che può presentare un altro modo di usare i dati in senso narrativo. Nella retorica medievale, soprattutto quella apologetica (quella cioè che si occupava della vita dei santi) esisteva un genere letterario chiamato Exemplum. Un racconto dichiarato vero in cui il protagonista comportandosi in un certo modo salvava la sua anima. Questi exempla venivano usati dai predicatori che li inserivano nei loro sermoni. Erano una prova. Un dato di fatto. Una procedura comprovata e affidabile a cui fare riferimento.
Possiamo usare i dati allo stesso modo e con la stessa funzione. Dire ad esempio che in una situazione simile alla nostra, in un ambiente analogo, gli spettatori di una mostra sono stati 2000 e che la stessa mostra, ma in un luogo completamente diverso, gli spettatori erano 5000. Aggiungere poi un altro dato numerico (spesa per la promozione, numero dei follower del museo, ecc..), senza necessariamente esplicitare la relazione tra le informazioni, crea un elemento narrativo forte e suggerisce una argomentazione solida.
il rischio manipolazione
I dati sono numeri. Utilizzarli in un certo modo consente, però, di attribuire loro dei significati non sempre corretti. Tutti ricordano l’esempio statistico del mezzo pollo: in Italia si consuma mediamente mezzo pollo a testa. Che può voler dire che io e te dividiamo lo stesso pollo o che io mangio e tu guardi. Stiamo sempre parlando di mezzo pollo a testa.
Questa interpretazione forzata può portare a una manipolazione dei dati per far loro dimostrare cose che non corrispondono alla realtà. Il discorso ci porterebbe troppo lontano e, per i nostri scopi, decisamente fuori strada. Va detto, però, che mi è capitato di leggere argomentazioni a sostegno di un progetto in cui i dati, volutamente o meno, erano usati in maniera strumentale, se non addirittura scorretta. L’effetto di un uso simile dei dati non è tanto quello di rendere un progetto più convincente o seducente, ma di falsare le nostre aspettative; di non essere più in grado di avere strumenti di valutazione affidabili che ci consentano di capire se stiamo andando nella giusta direzione. Insomma, per convincere gli altri, illudiamo anche noi stessi.
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