30 Ott Se dico Mass Media, a cosa pensi?
Di che cosa parliamo, quando diciamo di affidare la nostra comunicazione ai mass media? Pensiamo a degli strumenti precisi, o alle funzioni dei mass media?
Esistono ancora dei mezzi capaci di raggiungere la massa, ma probabilmente non sono più quelli che noi consideriamo tali.
Durante un mio corso di formazione sulle imprese culturali, ho chiesto ai partecipanti di definire il lavoro e i compiti di un ufficio stampa. Per cercare di sciogliere l’imbarazzo nel trovare una risposta sintetica, ho chiesto di tenere presente l’interpretazione letterale del termine ufficio stampa. E la chiave, naturalmente, stava tutta nella parola stampa. Ma dietro quella parola, cosa c’è?
Una visione classica
Nell’immaginario popolare la stampa era (e per certi versi ancora è) non solo una fonte di informazioni, ma quell’ente capace di distruggere una reputazione, creare un mito; una voce fuori dal coro; una critica ai poteri forti.
È la stampa, bellezza. La stampa e tu non ci puoi fare niente.
Proclamava Bogart in Deadline. E l’immagine è quella del giornalista investigativo dei film americani capace di far crollare complotti con la forza di un articolo.
Il Quarto Potere, insomma, con le sue virtù e le sue derive faustiane. E a quel quarto si è aggiunto poi un Quinto Potere: la televisione.
Lunga premessa per dire che nel senso comune del termine, i Mass Media sono ancora questo. Con una determinata forma, una funzione dichiarata e un effetto sociale.
Quegli strumenti, però, oggi non rivestono più (anche se probabilmente lo vorrebbero) la funzione di informare e formare la massa. La massa, ad esempio, non legge il giornale, né nella forma cartacea, né nella forma online. E ciò a dimostrazione che non è solo il supporto a fare la differenza.
Non segue più l’informazione televisiva a meno che non sia spettacolare. Il confronto gladiatorio è l’unità di misura del successo di una trasmissione di informazione. E a questo fine, con un’adesione che anticipa la richiesta, l’ideatore di programmi struttura il suo palinsesto.
Del resto, il meccanismo classico doveva fare i conti con l’economicità dello strumento, perché stampare e distribuire un giornale ha dei costi e produrre una trasmissione televisiva richiede un investimento industriale. E se non interessa a nessuno, nessuno la comprerà e non ci sarà modo di finanziarla.
Il nuovo strumento è libero da questi vincoli economici.
Novità e Utopia
In qualche modo si è realizzata la previsione che Bertrand Russell fece nel 1935 in cui si immaginava che la facilità di accesso ai mezzi di pubblicazione avrebbe reso possibile a chiunque esprimere il proprio parere senza temere nessun tipo di censura (Russell immaginava anche che un minimo costo di realizzazione ci sarebbe stato e avrebbe rappresentato il disincentivo a pubblicare idee di cui l’autore non era troppo convinto o soddisfatto. L’attuale possibilità di pubblicare a costo zero ha eliminato anche questo residuo pudore).
Nel nuovo meccanismo, i frammenti individuali di informazione si compongono in una narrazione coerente. E la coerenza non è nell’autorevolezza, ma nell’uniformità. È vero ciò che maggiormente condiviso. È vero perché lo dicono tutti.
Allo stesso tempo, i social è dibattito. Non è certo la ribellione contro l’autorità che si esprime attraverso un editoriale sul quotidiano nazionale. È un dibattito tra pari, o presunti tali. Si partecipa al social perché “democratico“, perché la mia opinione vale quanto quella di chiunque altro, a prescindere dalla competenza, preparazione o verità fattuale. Il Mass media diventa il mezzo di informazione con cui la massa informa e forma se stessa.
Le gazzette dei viaggiatori settecenteschi, basate su passioni e spontaneità, si sono trasformate in un prodotto industriale prima (i quotidiani) e virtuale poi (la radio televisione) capace di plasmare una società.
E oggi, dopo tre secoli di evoluzione, stiamo ritornando a un giornalismo fatto di individui volenterosi che esprimono sui loro diari quotidiani (che oggi si chiamano blog, Facebook, Instagram o YouReporter) le loro opinioni e la loro esperienza del mondo.
Autorevolezza e Influenza
In questa foresta di contributi, si sono evoluti dei particolari soggetti che, per la loro capacità di determinare le scelte di altri, hanno ricevuto l’appellativo di influencer.
Delle tre funzioni dei mass media, informazione, critica e persuasione, possiamo affermare che agli influencer spetta quest’ultima.
Da tempo l’influencer è uno strumento di marketing che certifica la qualità di un prodotto e lo promuove presso i suoi follower. Una modalità talmente accettata che colossi come Amazon stanno approntando strumenti di promozione legati a influencer e alle loro reti (Programma amazon Influencer).
È di questi giorni la questione se gli influencer possono diventare strumenti di comunicazione civile per conto terzi. Posso chiedere loro di sensibilizzare i loro follower su un argomento specifico, magari di utilità sociale? Posso immaginare di utilizzarli per raggiungere fasce di popolazione che altrimenti non sarei in grado di contattare su temi seri e urgenti?
Il problema vero è che gli influencer per essere tali devono essere (o almeno apparire) liberi, spontanei e genuini. Nel lungo periodo, il sospetto che possano essere pilotati da altri potrebbe far perdere loro proprio questa capacità di fascinazione che li contraddistingue. Posso accettare che un influencer riceva un compenso per qualche sponsorizzazione, non sono un ingenuo; ma non credo di poter continuare a seguire un “venduto”. La causa per cui un influencer ci mette la faccia, deve essere la sua; ci deve credere, altrimenti perde la sua forza.
Nuovi contenuti e vecchi strumenti?
Nonostante questa evidente trasformazione, noi continuiamo a progettare le nostre campagne di comunicazione in base a un’immagine datata di Mass Media. Anche quando siamo consapevoli dell’esistenza di altri media – chiamiamoli i social – operiamo come se il mezzo non influisse sul contenuto e sull’effetto. Si dice ancora “andremo a finire sul giornale”, “ci vedranno in televisione“, anche se sappiamo che rischiamo di essere sbeffeggiati in maniera molto meno autorevole, ma con effetti assai più invasivi, su qualche social a cui abbiamo affidato le nostre confidenze.
In realtà, le funzioni dei mass media non sono cambiate. Ci sono nuovi strumenti con altri linguaggi; mezzi diversi per comunicare in maniera più efficace i nostri contenuti.
La cultura e la sua promozione come possono tener conto di questo?
Effetti e distorsioni
Le recensioni dei libri, ad esempio, non hanno più lo spazio fondamentale negli elzeviri, ma nel parere diffuso di lettori amatoriali che si esprimono attraverso il loro blog.
L’interazione necessaria per rendere vivo il supporto, ha trasformato il senso della recensione. Sostituendo la critica classica con l’opinione, che è più comprensibile, più rassicurante, decisamente più empatica e quindi molto più convincente. Mi sono sempre fidato di più del consiglio di un amico che della recensione ambigua di un trombone.
Provate però a leggere le recensioni dei libri su Amazon.
I Frammenti di Eraclito ricevono una valutazione mediocre perché “molti dei frammenti si ripetono spesso nei concetti”.
Il nome della rosa viene stroncato perché: ”manca la vivacità, la spontaneità dei personaggi, il movimento… i pochi dialoghi sono goffi, meccanici”.
Tutte opinioni legittime e sincere. Non c’è dubbio. Ma opinioni, appunto.
E se le scelte editoriali si affidano a queste opinioni (perché più numerose, più diffuse ed espressione dell’acquirente medio), gli editor saranno costretti a sfrondare Eraclito e aggiungere tanto dialogo e combattimenti in Eco.
Le recensioni cinematografiche accolgono da tempo i pareri dei consumatori finali e nella stessa direzione, con lo spirito del dialogo e dell’inclusione, anche le recensioni teatrali si affidano alle impressioni dello spettatore.
Lascio agli esperti di comunicazione l’analisi della gerarchia dell’informazione e ai consulenti di social media lo studio delle strategie adeguate.
Riflessioni per comunicare la progettazione
In questa sede, voglio concludere con una riflessione per chi fa progettazione culturale. Posso costruire la mia campagna di diffusione attraverso i Mass Media. Devo tener conto però che le funzioni classiche di questi strumenti -l’informazione, la critica e la persuasione- sono oggi distribuiti tra soggetti diversi, con funzioni e obiettivi specifici.
Coltivare la critica spontanea dei social, coinvolgere un influencer convincente e distribuire l’informazione su canali complementari è certamente la strada più efficace. Ma va sottolineato che devo essere in grado di modulare il mio linguaggio, di adattarlo alla nuova natura dei Mass Media.
Ricordiamoci che per sua definizione, un progetto deve rappresentare una trasformazione, deve poter cambiare lo stato delle cose da un livello A a un livello B, risolvendo un problema o soddisfacendo dei bisogni. Nelle sue radici, quindi, ci deve essere una critica allo stato dell’arte. Non può affidare tutta la sua forza comunicativa a uno strumento che riconosce autorevole principalmente l’opinione media (più precisamente la moda statistica). Altrimenti adatterà Eraclito ai messaggi dei cioccolatini e trasformerà Guglielmo da Baskerville in uno spadaccino. D’altro canto non può neppure ignorare che la diffusione ha tutto l’interesse a passare attraverso un mezzo capillare e vasto, con una sua sintassi chiara e rigorosa.
Insomma, come dice Brecht:
“un artista deve stare un passo avanti rispetto al proprio pubblico e non due”.
Ma forse, a dirlo, è stata Mara Maionchi.
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